In Cuore azzurro sangue rossonero, il primo dei quatro volumi,
racconto la mia vita degli ultimi 30 anni. Come ho scoperto la passione per il Milan.
Il calcio italiano, visto con gli occhi di un tifoso, dolorose sconfitte e grandi vittorie.
Racconto la mia grande passione per Eros Ramazzotti, con il mondo della musica,
e la vita quotidiana con grandi emozioni e dolorosi ricordi che non auguro a nessuno.
La colpa di questa meravigliosa pazzia è stata sin dall’inizio di mio padre! Non mi ricordo quando iniziò a cantarmi i cori dei tifosi per farmi addormentare. Non so perché lui abbia fatto questo, credo però che non abbia mancato il suo obbiet-tivo. Perché io, e lo dico con certezza, sono diventato un accanito tifoso già da allora! Il Milan, il mio sangue e la squadra Azzurra della Nazionale italiana, la mia religione! Con questa affermazione non voglio sminuire il mio amore per il calcio italiano! Sicuramente mio padre voleva farmi conoscere il calcio, ma il fatto poi che questa cosa abbia assunto queste dimensioni dentro di me, penso non ci avrebbe mai creduto neanche lui! Mio padre è nato nel capoluogo pugliese di Bari ed è cresciuto con due fratelli maggiori e una sorella. Erano figli di contadini, ma non mi ha mai nominato i suoi fratelli, né conosco il motivo per cui non l’abbia mai fatto! Mio padre scoprì molto presto la sua passione per il calcio. Alla fine degli anni 30, inizi degli anni 40 non esisteva ancora il “tappeto verde”, cioè il tappeto erboso dei campi di calcio in uso oggi in tutta Europa. Allora si giocava sulla terra battuta con piccole pietre, le porte del rettangolo di gioco erano delimitate da due scarpe oppure da due indumenti. I pali, la traversa e la rete erano immaginarie. La maggior parte dei ragazzi aveva appena due paia di scarpe, un paio per la scuola, il lavoro ed il gioco, l´altro paio per le festività e per la santa messa della domenica. In quei tempi non si usava andare nei negozi sportivi, provarsi un paio di scarpe da calcio di vera pelle, papà non aveva abbastanza soldi per poterle pagare di tasca sua! Quello che mi viene raccontato da mio padre ed anche testimoniato dai suoi amici è che lui era un bravissimo attaccante. Era talmente bravo che l’allenatore ed il parroco di Barletta vennero a Ruvo di Puglia per vederlo giocare ed invitarlo a fare un provino. Barletta dista 30 Km a Nord di Ruvo di Puglia, il paese dei miei nonni. Purtroppo mio nonno non approvò l’offerta che fecero a mio padre, perché a quei tempi per un ragazzo non era così semplice inseguire qualsiasi hobby. I soldi erano pochi e c’era la guerra, così mio padre, come tanti altri ragazzi di quell’epoca, dovette abbandonare gli studi già alla terza classe delle scuole elementari per lavorare nel terreno di proprietà della famiglia oppure come bracciante alle dipendenze di altri, tutto questo per guadagnare quel poco e portarlo a casa, per poter soprav-vivere! E chissà come sarebbe stata la vita di mio padre se avesse potuto giocare prima nel Barletta e poi nel Bari! Aveva appena 12 anni quando gli fecero quella offerta! Forse sarebbe diventato un professionista! Dai suoi racconti si possono interpretare tantissime cose! Chissà se fosse bastato vera-mente! Forse non sarebbe emigrato in Germania, non avrebbe conosciuto mia madre ed io non starei qui a raccontarvi questa storia!
Negli anni 60 in Germania ci fu un grandissimo boom econo-mico. La guerra era finita da quindici anni e moltissimi giovani colsero la possibilità di espatriare nel cuore dell’Eu-ropa per cercare fortuna. Essi provenivano dalla Spagna, dall’ Italia e dalla ex Jugoslavia. Uno di quelli era mio padre. Arrivò come emigrante ad Augsburg con un paio di amici del suo paese per presentarsi alla fabbrica metallurgica della MAN. La sua intenzione era di rimanere solamente un anno in Germania. Nel cassetto aveva il sogno di ritornare a Ruvo di Puglia per lavorare come caposquadra in agricoltura, poi aveva anche una fidanzata con la quale aveva già fatto dei progetti futuri insieme. Per racimolare i soldi per il ma-trimonio e per la casa l’occasione della MAN arrivò al punto giusto. Negli anni 60 non ci fu solamente una rivoluzione industriale e musicale, ma fu anche il tempo nel quale il calcio ebbe una trasformazione. Era nata l’idea delle coppe Europee. Per essere più concreto nel 1955 nacque la competizione della Coppa dei Campioni, negli anni 70 la coppa UEFA e nel 1960 la Coppa delle Coppe. Nella competizione della Coppa dei Campioni potevano partecipare i campioni delle rispettive Nazioni. I secondi classificati dei campionati nazionali parte-cipavano alla Coppa UEFA ed la squadra vincente della coppa poteva competere nella Coppa delle Coppe. In questo periodo di fermenti per il mondo del calcio, il calcio Europeo assunse una maggiore importanza. Questo perché le grandi squadre Europee potevano mettersi in luce e misurarsi con altre squadre di pari livello, squadre come il Real e Barca, Valencia e Atletico Madrid, Inter e Milan, Juventus, Fiorentina e Roma, Sporting e Benfica, Celtic e Liverpool, Manchester United ed Arsenal, Tottenham e West Ham, Malmo ecc., squadre che hanno scritto l’inizio della storia del calcio Europeo. Sono felicissimo di vivere al giorno d’oggi, perché dai racconti dei miei genitori allora non esisteva la Pay-TV ed era quindi difficile seguire la squadra del cuore. I miei genitori avevano una piccola radio con una buona antenna ed ascoltavano le partite stando vicini sotto il cielo stellato. Cosi ascoltarono la partita dell’Inter quando vinse per la prima volta la Coppa Intercontinentale. Naturalmente tutta quell’at-mosfera romantica, seduti ed abbracciati su una panchina, era per mio padre solamente un pretesto per sintonizzare l’onda radio migliore per ascoltare la partita. Si sarà spaventata tantissimo mia madre, quando mio padre, tenendola ab-bracciata, fece un salto di gioia gridando forte: si giocava la partita dell’Internazionale contro l’Indipendente Buenos Aires.
Nella partita di andata gli Italiani persero uno a zero ad Avellaneda in Argentina. La partita di ritorno invece la vinse l’Internazionale per due a zero a Milano. All’ epoca contava solamente la vittoria o la sconfitta, la differenza reti non esisteva ancora. Come regolamento si doveva fare uno spareggio e fu lo stadio Bernabeu di Madrid il campo neutro dove si disputavano le partite. Fu così che il 26 settembre del 1964 per la prima volta una squadra Italiana alzò al cielo la più ambita e prestigiosa Coppa Intercontinentale. Anche all’epoca esistevano già le tifoserie accanite, infatti quattro mesi prima cioè il 27 maggio 1964 mio padre non si perse la finale di Coppa dei Campioni dove l’Internazionale vinse sul Real Madrid per tre ad uno sul Prater di Vienna. Nonostante l’età e la salute precaria, mio padre, che ha superato gli 80 anni, ancora oggi non ha perso l’amore e l’entusiasmo per il calcio. A questa età dovrebbe necessariamente calmarsi e vedere le cose con più distacco, invece l’amore per la sua squadra e la nazionale Italiana sono ancora sempre immutate dentro di lui. Anche se il Bari in tutti questi anni non ha mai vinto un grande titolo, mio padre è rimasto sempre un fedelissimo tifoso. Ancora oggi vedo i suoi occhi lucidi quan-do racconta dei tempi d’oro dell’Inter e della Fiorentina. Ogni volta che si disputa il derby di Milano tra di noi si scaldano gli animi, ma mai con cattiveria! L’importante è tenere alla propria squadra mantenendo un atteggiamento sportivo! Come in un matrimonio nella buona e cattiva sorte! Si potrebbe cambiare squadra quando le cose vanno malissimo, ma come siamo messi a dura prova nella vita coniugale, è nei momenti difficili che si salda un matrimonio rimanendo insieme per tutta la vita, rispettando il vero amore!
Allo stesso modo un divorzio dalla mia squadra del cuore è l'ultimo dei miei pensieri! Avrei voluto vivere negli anni 60, chissà probabilmente sarei stato un tifoso dell’AS Bari, dell’Inter o della Fiorentina. L’Inter aveva a quei tempi Mazzola, Facchetti, Burnich, Jair, Corso, Suarez e senza nominarli tutti, indubbiamente una grandissima squadra! Però anche negli anni settanta, ottanta e novanta, gli anni della mia giovinezza, l’Inter aveva sempre dei grandi giocatori! Ed ecco che entrava in scena in un freddissimo giovedì di Novembre del 1988 quella che sarebbe stata la mia squadra del cuore! Ero certo che mio padre sarebbe andato a Ruvo di Puglia per festeggiare il novantesimo compleanno di mia nonna. A quel tempo frequentavo la seconda media della scuola di Baerenkeller, non avevo le ferie scolastiche ma il fatto non mi preoccupava più di tanto. Avevo addosso uno strano magone, sentivo una strana voce in testa ed avevo strani pensieri. Erano già due anni che nelle ferie estive non vedevo mia nonna. Non era un compleanno qualsiasi, era il suo novantesimo e se doveva essere l´ultimo, avrei voluto rivederla, anche perché mia nonna non aveva il privilegio di vivere per sempre. Una vocina continuava a dirmi
“tu devi andare insieme a tuo padre!”
Il mio interesse per la scuola non era poi così grande ed il rendimento scolastico era mediocre. Certamente c’erano delle materie che mi entusiasmavano di più come storia, geografia, religione, arte e sport. Soprattutto mi piacevano gli intervalli, che io naturalmente usavo per corteggiare le ragazze greche, credetemi ero il preferito di quasi tutte le ragazze greche della scuola! Italiani, Spagnoli e Greci sono culturalmente e in qualche modo anche mentalmente simili! Poi c’erano molti ragazzi greci tifosissimi del pallone. Era solo puro istinto ed il mio presentimento non mi ingannava. Mi dispiaceva lasciare mia mamma perché avevamo già in mente dei programmi per quando mio padre sarebbe partito, volevamo andare un paio di volte al cinema, avevamo prenotato i biglietti per “Holiday on Ice” e parlavamo di fare un paio di gite insieme. Però il pensiero del viaggio in Italia non mi faceva stare sereno. Quando quella sera mio padre entrò nella mia cameretta per salutarmi, io interruppi subito il suo discorso dicendogli
»voglio venire con te in Italia!«
Mio padre mi sorrise, ma non mi aveva preso sul serio, voleva salutarmi! Non mi interessava il suo parere ed io con tono più deciso espressi nuovamente il mio desiderio; mio padre, senza cambiare argomento, mi lasciò parlare. Al mattino seguente in tutta fretta mio padre andò in stazione per comprarmi il biglietto del treno. Mia mamma doveva dare delle spiegazioni riguardanti la mia assenza dalla scuola al signor Winkler, che si mostrò poco entusiasta dell’idea. Egli era un direttore di vecchio stampo educativo e pedagogico, dava ancora pacche sulla nuca quando non seguivamo la lezione, con la sua grossa stazza, la sua barba ed i capelli bianchi metteva paura! Naturalmente lui aveva ragione, avremmo dovuto informarlo molto prima di quel viaggio. A distanza di anni non mi sono pentito di avere fatto quella scelta, seguendo il richiamo del cuore! Così in quel nebbioso mattino di novembre siamo partiti con mio padre per raggiungere la nostra Patria, direzione Italia Meridionale, per festeggiare l’ultimo compleanno di mia nonna. Il 10 novembre del 1988, in un fresco mattino autunnale, mio padre mi fece alzare prestissimo, avevamo programmato una gita a Montrone, una cittadina a quaranta chilometri Sudest di Bari, situata quasi nel cuore della Puglia, conosciuta anche sotto il nome di Adelfia. Era la festa annuale ed i preparativi duravano già da una settimana, ma il 10 novembre era il giorno della grandiosa festa patronale in onore del protettore San Trifone, ritenuta la
“regina delle feste patronali”
in Puglia.
L'Italia é la Nazione calcistica per eccellenza! Da sempre la Serie A italiana faceva parte di uno dei campionati più forti in assoluto. In nessun'altra nazione ci sono così tante contro-versie calcistiche come nelle principali metropoli della Penisola. Ci sono la passione incondizionata dei napoletani verso il loro SSC Napoli, i romani con le loro squadre Lazio e Roma, che trasformano il proprio stadio in un concentrato di emozioni. La vetta più famosa del calcio, lo stadio milanese di San Siro, la casa di Inter e Milan, regala ai suoi tifosi successi ed i più grandi campioni del panorama calcistico italiano. Diciamo che l'epicentro del calcio si trova a Torino, dove però le squadre regine Juve e Torino non potevano essere più differenti tra di loro. La Juve, orgoglio d´Italia! Nessun' altra squadra ha vinto più campionati degli Zebra! C'è anche da dire che la Juve ha più tifosi fuori dal Piemonte che in casa, una bellezza di 11 milioni di tifosi! In qualsiasi ristorante italiano nel mondo puoi incontrare un tifoso juventino, uguale se sei in America o nella più profonda Africa. Nella metropoli piemontese invece chi ha la superiorità cittadina è senza dubbio il Torino. Il Toro, il simbolo della squadra! Toro equivalente a mito, leggenda, amore e tristezza. Il simbolo della Juve ha dietro le spalle anni di vittorie, quello del Toro invece solo un unico giorno, quello del 4 Maggio 1949 quando accadde la più grande tragedia del calcio Italiano. Quel giorno alle ore 17 l´aereo con dentro tutta la squadra del Torino si schiantò contro il muraglione del terrapieno posteriore della basilica di Superga, sulla collina torinese mietendo trentuno vittime. In estate Superga era una meta per passeggiate familiari, che con il suo stupendo panorama invitava a passare ore rilassanti. La basilica, costruita nel 1731 da Amedeo di Savoia, faceva da cornice al monte con tutto il suo splendore. Una funivia alleggeriva parecchio la salita agli amanti del posto, ma quel pomeriggio la bellezza di quel posto fu oscurata da una nebbia grigia fittissima. Una coltre grigia che doveva diventare destino infausto per una grande squadra e mandare in lutto una nazione intera! Il pilota Pier Luigi Meroni quel giorno sull'aereo sicuramente non riusciva a vedere la propria mano davanti ai suoi occhi per colpa di quella nebbia maledetta! Il futuro giornalista Gian Paolo Ormezzano, all' epoca 14enne in visita presso la bellissima villa dello zio, ricevette un dolore enorme, che forse non si può capire se non si è vissuta una tragedia simile! La sua squadra, il suo Toro, i suoi eroi avevano trovato la morte sulle colline di Superga e fu così che, con tutto il dolore e la rabbia per il tragico evento, diede un pugno ad una vetrina della casa dello zio frantumandola in mille pezzi. Forse questo giorno segnó Gian Paolo per tutta la vita, solo 4 anni dopo divenne un giornalista sportivo e fu uno dei più grandi nel suo mestiere all'epoca. Il giorno successivo alla tragedia la strada per Superga era sovraffollata di gente curiosa che voleva accedere al luogo dell'orrore. Il Torino era all' epoca il simbolo del calcio italiano, a volte il Toro dava fino a dieci giocatori alla Nazionale ed era l'orgoglio di tutta l'Italia. Il grande Toro, simbolo di una Nazione e della ricostruzione dopo l'epoca fascista. Il Toro stava tornando dal Portogallo dove aveva svolto una partita amichevole contro il Benfica perdendo per 4-3. Le sconfitte erano una rarità per il Toro in quanto aveva appena vinto il suo quarto scudetto consecutivo. Il primo lo aveva vinto nel 1942/43, poi il campionato fu sospeso per 2 anni a causa del sopraggiungere delle truppe degli Alleati che arrivavano dal sud e da quelle di Hitler che stavano occupando il Norditalia. Dopo la Liberazione nella primavera del 1945 si riprese a giocare a calcio. L'AC Torino prese nuovamente in mano le redini del campionato dimostrando la sua assoluta superiorità. La squadra fu allenata nuova-mente dall'ungherese Egri Erbstein, il quale in seguito dovette abbandonare il suo ruolo di allenatore a causa delle sue origini ebree e dell'arrivo delle truppe Hitleriane. Erbstein fu sostitiuto ufficialmente dall' inglese Leslie Lievesley, ma di fatto costruirono insieme un Torino che in quel periodo era quasi imbattibile. Erbstein portava avanti la sua idea che ogni giocatore debba sapere far tutto da punto di vista tattico in qualsiasi momento della partita ed adattarsi alle varie circostanze, in parole povere diventare tutti dei giocatori completi! In più Erbstein aveva adottato un'arte di gioco che era stata sviluppata dall'allenatore dell'Arsenal Herbert Chapman cioè il sistema della difesa aggressiva. Leslie Lievesley, che era al fianco del mister, aveva introdotto un sistema nuovo per l'epoca, cioè "l'allenamento fisico intensivo" con l'intenzione di farlo praticare a più della metà dei giocatori della squadra. Nel Norditalia si venne così a creare una spiccata superiorità calcistica: nella stagione 1947/48 il Toro aveva smontato letteralmente tutti i suoi avversari! 125 goals fatti, solo 33 goals subiti! 29 vittorie e solo 4 sconfitte, delle quali nessuna in casa ed a concludere il campionato ci fu il risultato di 10-0 contro l'Alessandria! Ad allenare il Toro all' epoca era Valentino Mazzola, il padre del campione dell'Inter Alessandro. Valentino era la superstar degli anni 40, il motore della squadra, il condottiero predestinato con la sua squadra alla conquista del mondo! Era considerato uno dei numeri 10 più grandi del pianeta! Giampiero Boniperti, da giovane attore rivale juventino, si ricorda di un derby speciale dove aveva già sollevato le braccia in alto per esultare, quando dal nulla arrivò Mazzola sulla linea della porta deviando il suo tiro. Giampiero Boniperti aveva preso bene la mira ed ero convinto che la palla sarebbe entrata, ma quando sollevò la testa vide che Valentino Mazzola era arrivato nella loro area di rigore per segnare contro di loro.
Nessuno sopravvisse a quell' impatto sulle colline di Superga! Mazzola morì a soli 30 anni e con lui in totale 18 giocatori, 2 allenatori, 2 direttori sportivi, il massaggiatore, 3 giornalisti sportivi Tosatti, Cavallero e Casalbore, il pilota Gigi Meroni e 4 membri dell'equipaggio. Un contadino che stava lavorando nelle vicinanze riconobbe Aldo Ballarin, uno dei giocatori dalla maglietta indossata, egli era talmente orgoglioso di appartenere alla sua squadra che anche in privato indossava la maglia del Toro. L´identificazione dei cadaveri toccò al commissario tecnico della Nazionale Italiana Vittorio Pozzo. Il 6 Maggio a Torino davanti a centinaia di migliaia persone ebbe luogo il rito del funerale di una delle più grandi squadre di calcio. Gli eroi del Toro, scortati dai Carabinieri in tenuta da cerimonia ed accompagnati da migliaia di persone, vennero portati dal centro della città fino a Piazza Castello. Un eroe dopo l´altro vennero salutati ed onorati in questa sfilata. Arrivò anche una delegazione del Genoa Calcio, la squadra più antica d' Italia, per onorare ognuno dei loro scudetti vinti. Per ogni vittima c'era il segno della croce, 31 volte in totale! Era una funzione di solo mezz' ora, ma per la tragicità sembrò un'eternita. Nella camera ardente il presidente del Toro Barassi stava parlando ai propri giocatori come se fossero ancora in vita consegnando loro idealmente il quinto scudetto e chiamandoli uno per uno per nome. Alla fine toccó a Mazzola, il capitano, al quale di solito si dà per primo una coppa. Barassi disegnò in cielo con le sue mani una Coppa gigante e disse: <<La vedi questa bella Coppa? E'tua, è vostra! È grande, é più grande di questa sala, é enorme e dentro ci sono i nostri cuori!>> Grande Toro! Da mito divenne leggenda. Il Toro, simbolo di Torino ed delle più grandi squadre dell'epoca. Da allora il Torino Calcio non venne mai più chiamato il Grande Torino., perchè non venne mai più raggiunta la gloria ed i successi degli anni 40. Solo nel 1976 il Toro riuscì nuovamente a vincere lo scudetto, ma la sfortuna con gli "Sfigati" non si fece attendere. Attilio Romero all'epoca aveva 19 anni ed era grandissimo tifoso dei Granata. Il pomeriggio del 15 ottobre era stato allo stadio per seguire la vittoria dei suoi per 4-2 contro la Sampdoria. Gigi Meroni, la farfalla granata e superstar del Toro, quel pomeriggio diede spettacolo assoluto. Romero si mise a litigare con un altro tifoso granata che non era per niente convinto della presta-zione di Meroni. Romero invece era fermamente convinto del valore di Meroni e cercava di imitarlo in tutto e per tutto, si stava crescendo i capelli e si vestiva come lui per cercare di somigliargli il più possibile. Questo obiettivo non era facile da raggiungere visto che la Star del Toro si faceva disegnare gli abiti secondo il suo gusto personale, cioè gessati larghi e farfalle enormi. Una volta successe che alcuni tifosi della Juve scambiarono Romero per il vero Meroni e gli gridarono di tagliarsi i capelli cercando anche di tirargli monetine e di insultarlo. Questo gesto delle monetine significava per i juventini che i giocatori fossero comprabili. La Juventus aveva offerto per Meroni un cifra record di 750 milioni di lire, ma dopo una rivolta dei tifosi granata che avevano lanciato volantini di protesta al cielo con tanto di contestazione in piazza San Carlo, l'Avvocato ritirò la sua offerta. Meroni rimase così fedele al Toro e divenne una grande e tragica leggenda. Erano le 21,15 del 15 ottobre 1967 quando Meroni era diretto a casa con il compagno di squadra Fabrizio Poletti. Meroni abitava in corso Re Umberto 53, una della più belle vie di Torino. I due giocatori avevano attraversato la strada quando dalla loro destra sopraggiunse una Fiat 124 Coupè guidata da Attilio Romero, che colpì di striscio Poletti e prese in pieno Meroni catapultandolo sull´altra corsia dove fu travolto da un'altra macchina che lo trascinò per 50 metri. Meroni morì poche ore dopo in ospedale per le fratture subite ed un grave trauma cranico. Gigi Meroni, figlio di una ragazza madre di Como, era diventato un idolo per tanti tifosi granata. Come già una volta per il pilota di Superga, il colonnello Meroni, anche la morte di Gigi Meroni trascinò i tifosi granata negli abissi della tristezza. Un'altra tragedia incombeva su questo nome o era solo destino? Il 22 Ottobre il Toro sconfisse in un derby la Juventus per 4-0, una vittoria che somigliava di più a una marcia funebre. Il calciatore franco-argentino Nestor Combin nonostante avesse 39 di febbre fino a poche ore prima del calcio di inizio, volle rendere omaggio al suo amico Meroni giocando il derby con il cuore pieno di emozioni, triste come se non ci fosse un domani. Combin segnò 3 goals in onore del suo amico Gigi. Attilio Romero anni dopo divenne il presidente del Torino e forse é stato l´unico presidente e tifoso al mondo cui è capitata la disgrazia di aver ucciso il suo giocatore idolo. Il Toro nel frattempo si trasformò in una squadra altalenante tra serie A e B e calcisticamente diventò la seconda squadra di Torino dietro la Juventus. La Juventus invece fu risparmiata da questi destini infausti! In più di cento anni di storia la Juventus é stata sempre in mano della famiglia Agnelli. Il Clan degli Agnelli non ha contribuito solo alla storia della Juventus, ma anche a quella italiana con la Fiat, la Ferrari, la Rinascente, i quotidiani il Corriere della Sera e La Stampa diventando l'identità dell'Italia. Quest' epoca ebbe inizio il 24 luglio 1923 quando Edoardo, il figlio del fondatore della Fiat Giovanni Agnelli, a soli 31 anni diventò presidente della Juventus. In quel periodo a Torino gli Agnelli stavano diventando una famiglia di pres-tigio anche se non riuscivano ancora a competere con l'allora Presidente del Toro, il "Conte Cinzano", proprietario dell'azienda dell'omonimo aperitivo. Edoardo era un uomo di mondo, eccentrico come nessun altro nella conservatrice e provinciale Torino di quei tempi, egli amava la sua famiglia ed il "Football"!